La storia del trattore agricolo del marchio Arona è intricata quanto affascinante. Verso la fine del 1800, nel Nord dell’Italia, l’arrivo delle falciatrici a traino animale e delle trebbiatrici mosse dal vapore delle locomobili resero disponibili migliaia di braccianti, parte dei quali si riversarono nelle città contribuendo alla nascita e allo sviluppo dei grandi gruppi industriali. La stessa manodopera rappresentò anche un’opportunità per la borghesia operante nel commercio e nell’artigianato che poté contare su importanti volumi di risorse umane per dar vita a nuove iniziative o ampliare quelle pre-esistenti.
Ciò accadde soprattutto nelle provincie, là dove nacquero anche i grandi marchi della meccanizzazione agricola italiana, da Landini, a Fabbrico, in Emilia, a Laverda, a Breganze, in Veneto, senza dimentica Bubba, Casali o Orsi, tutti costruttori che legarono il proprio nome alle proprie macchine. Rientra fra questi anche Franco Arona, di Voghera, in provincia di Pavia.
Arona da un’officina di provincia al successo
Agli inizi del Novecento aprì un’officina artigianale dedita alla riparazione di trebbie, pressapaglia e sgranatoi ma a tale attività affiancò poi la costruzione di macchine proprie di varie dimensioni che ottennero una certa notorietà anche al di fuori del circondario. Fausto Arona era in effetti un artigiano non privo di ingegno tant’è che quando gli si affiancarono i figli Francesco e Mario e, nei primi Anni 30, cominciò anche a pensare alla costruzione di un trattore da accoppiare alle proprie macchine così da farne un “treno” analogo a quelli che già stavano facendo Bubba e Orsi, i suoi più noti ed evidenti concorrenti.
Il progetto del primo trattore Arona
Il progetto andò in porto di lì a poco dando origine ad alcuni esemplari di tale veicolo che andarono tutti perduti durante il Conflitto, ma del quale sono rimaste fortunatamente un paio di fotografie conservate da Andrea Angeleri, disegnatore e tecnico dell’Azienda. Si trattava di un mezzo marchiato “Fausto Arona e Figli” che a suo modo era molto più avanti di quanto il periodo storico mettesse a disposizione. A parte le ruote di ferro ottenute mediante lavorazioni di carpenteria e inchiodature, soluzione comune a molti costruttori, era nuovo per l’Italia il carro realizzato mediante un’unica fusione di ghisa sul quale era posto il motore, un diesel tre cilindri da circa 30 cavalli di potenza alimentato per via diretta e non, come accadeva su tutti i motori a gasolio dell’epoca, per via indiretta. Ne derivavano una grande facilità di avviamento a qualsiasi temperatura e un rendimento termico superiore a quello proposto dalle unità usate dalla concorrenza.
Il motore era ovviamente anche più costoso rispetto agli standard di settore, ma Arona poteva concedersi tale caratteristica grazie ai ritorni indotti da una sua attività collaterale aperta nel settore nautico e orientata proprio alla costruzione di motori diesel per natanti a vela, unità che nel tempo si proposero in un ampio ventaglio di architetture che spaziavano da un monocilindro da quattro cavalli a un sei cilindri sovralimentato da 350. La frizione del motore usato sul trattore era a disco a bagno d’olio e anch’essa derivava dall’esperienza nautica, mentre erano originali il cambio a tre velocità più retro e il raffreddamento a liquido con radiatore posto dietro al motore.
Esteticamente più piacevole della produzione italiana dell’epoca, il trattore non ebbe però fortuna, probabilmente proprio perchè troppo costoso, soprattutto per via del carro monolitico, ma anche perchè al momento l’affidabilità e la resa di un testacalda erano superiori a quelle di un diesel, anche se a iniezione diretta e dunque più avanti rispetto alle motorizzazioni a benzina-petrolio o ai propulsori operanti sulla base del ciclo Otto dotati di adattamenti per funzionare a nafta molto diffusi in quel periodo.
Il secondo trattore agricolo Arona del secondo dopoguerra
L’Azienda sopravvisse quindi alla Seconda Guerra Mondiale lavorando esclusivamente per il settore navale, sia a livello militare sia civile, ma alla fine del Conflitto tentò di nuovo entrare nel settore agricolo con la produzione di un altro piccolo veicolo che, come il suo predecessore, non ottenne però l’atteso consenso di mercato. Di tale macchina ne diede notizia la rivista “Terra e Sole” nell’ambito di un panorama del mercato italiano datato marzo 1955, servizio che mostra un “Microtrattore Arona tipo At 4” motorizzato da un diesel monocilindrico quattro tempi da 763 centimetri cubi con distribuzione monoalbero in testa. Erogava una potenza alla barra di otto cavalli e si interfacciava con la trasmissione mediante una frizione monodisco a secco che permetteva di gestire quattro velocità più una retro.
Lungo un metro e 75 centimetri, largo poco meno di un metro a alto poco di più, pesava 400 chili ed era offerto a un prezzo di listino di un milione e 700 mila lire, quotazione esagerata se la si metteva a paragone con il milione richiesto per un Oto “18 Cv” e il milione e 250 mila lire di un Fiat “25 Diesel”. Con lo stesso prezzo, inoltre, si poteva comprare un Om “35-40 R”. La diffusione della macchina fu quindi molto limitata, tant’è che non roisultò neppure presente nelle statistiche delle immatricolazioni Uma, l’Ente presso il quale gli agricoltori iscrivevano i loro veicoli per ottenere il carburante a prezzo agevolato.
L’avventura agricola di Arona si concluse così senza poter assistere a un confronto diretto tra il motore diesel avanzato a iniezione diretta e i testacalda che allora andava per la maggiore, ma la sfida fu solo rimandata e alla fine vide il trionfo del diesel con la conseguente consegna del motori testacalda e dei relativi trattori alla Storia.
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Titolo: Il trattore agricolo Arona nato da un’officina di provincia
Autore: William Dozza