Che i trattori vecchi siano un problema è indubbio. Secondo l’associazione dei costruttori di macchine e attrezzature agricole, FederUnacoma, il parco macchine nazionale consta di oltre due milioni di mezzi, gran parte dei quali vecchi di oltre trent’anni e quindi obsoleti. Sia da un punto di vista prestazionale, sia in termini di contenuti, sia a livello di compatibilità ambientale. Mezzi che però evidentemente funzionano ancora bene e comunque non sostituibili senza imporre alle aziende agricole investimenti che in molti casi risultano non sostenibili. A conferma, il fatto che il mercato dell’usato in termini di volumi vale il doppio del mercato del nuovo. Non si deve essere laureati alla Bocconi per capire che fatti salvi quei pochi operatori affetti da tendenze masochistiche, nessun agricoltore ambisce a lavorare su una macchina vecchia e poco confortevole e quindi se tali mezzi hanno un mercato è solo perché le aziende hanno pochi soldi in tasca e devono far buon viso al cattivo gioco. Non a caso proprio FederUnacoma per bocca del suo presidente, Alessandro Malavolti, ha dichiarato di avere fra i suoi obiettivi a breve quello di far pressione sulle sedi competenti per ottenere un rilancio dei fondi pubblici finalizzati all’acquisto di nuove e più tecnologiche macchine. Si potrebbe discutere a lungo circa l’opportunità di perseverare con gli aiuti pubblici piuttosto che su quella di lavorare per permettere alle aziende di vivere e crescere grazie ai proventi delle proprie attività, ma è indubbio che la discussione non modificherebbe l’attuale status in cui versa la meccanizzazione dell’agricoltura nazionale, fortemente caratterizzato dalla presenza dei trattori d’antan. Non potendo costringere le aziende a cambiare i propri mezzi, anche se sotto sotto e in maniera non dichiarata Costruttori e Concessionarie auspicherebbero norme severe per spingere proprio in tale direzione, ecco che per garantire la sicurezza d’uso e di circolazione delle macchine è giusto imporre loro revisioni periodiche avanzate sulla falsariga di quanto accade nel settore auto. Obbligo peraltro varato con un decreto ministeriale nel 2015. Peccato che da allora nessun Governo abbia mai emanato le norme di attuazione. Tradotto in parole povere ciò significa che a quattro anni dall’entrata in vigore del Decreto ancora non è dato sapere cosa controllare, come e chi lo deve fare. Da qui un susseguirsi di rinvii, l’ultimo dei quali ha ora spostato l’avvio delle prime revisioni, quelle relative ai mezzi immatricolati prima del 1984, al 30 Giugno 2021. L’anno dopo toccherà alle macchine immatricolate fra il 1984 e il 1995 e poi a seguire a tutte le altre sulla base di una scaletta che da qui ai prossimi 24 mesi è facile sia rivista più volte e che quindi è inutile anticipare. Che sia la volta buona? Molto improbabile. A conferma della sua pressoché totale mancanza di competenze specifiche, l’attuale Ministro dei trasporti Danilo Toninelli ha in effetti accorpato nell’ambito delle nuove norme di revisione le macchine agricole con quelle operatrici, come se un trattore, un dozer, una gru mobile e un escavatore fossero la stessa cosa. Ciò renderà sicuramente molto difficile ai tecnici competenti in materia la definizione dei “chi deve fare cosa e come”, col risultato che nel 2021 scatterà una ulteriore proroga. Si accettano scommesse.
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