Nel 2000 le sostanze attive ad azione erbicida in Italia erano 177. Oggi, al maggio 2023, si è scesi a 107, con un calo del 40 per cento circa. Una diminuzione che risulta però ancor più vistosa dal punto di vista tecnico. Basti pensare che diverse di queste sostanze sono di fatto molto simili fra loro. Per esempio mecoprop, mcpa e 2,4-D li si può reperire in forma di estere o di sale, pur avendo la medesima azione dal punto di vista malerbologico. Praticamente dei doppioni.
Nel novero rientrano poi sostanze classificate come diserbanti, ma non utilizzabili come tali su grandi estensioni, come l’acido caprico, l’acido caprilico e l’acido pelargonico. Non essendo selettivi non possono infatti essere applicati in presenza delle colture e la loro azione per contatto ne limita molto l’efficacia rispetto a un diserbante totale, ma sistemico, come glifosate, capace cioè di devitalizzare anche le radici.
Oltre ai divieti le limitazioni
Inoltre, fra i diserbanti rimasti alcuni patiscono di forti limitazioni d’impiego. Basti pensare alla terbutilazina, erbicida prezioso per i maiscoltori, il cui impiego è stato limitato a un anno su tre alla dose ridotta ormai a soli 850 grammi per ettaro, circa la metà di quella impiegata in passato. In pratica, il taglio effettivo dell’arsenale tecnico si può quindi stimare oltre il 50 per cento. Il tutto in poco più di vent’anni. Per giunta, a scomparire sono state soprattutto le molecole ad azione multisito, capaci cioè di agire su più livelli metabolici delle infestanti, rendendo di fatto impossibili i fenomeni di resistenza. Fra le contromisure a tale emorragia tecnica si stanno imponendo le attrezzature meccaniche, per lo meno quelle progettate per estirpare le infestanti tramite elementi sarchianti di diversa fattura.
Anche l’aratura è controindicata
Anche le arature, infatti, esercitano sulle infestanti una qualche azione di contenimento, ma tale pratica viene guardata con sempre meno favore a causa dei suoi impatti sulla biodiversità del terreno e sulla maggiore ossidazione della sostanza organica. Diverse sono invece le colture che possono beneficiare dei diserbi meccanici, ovvero quelle seminate a file distanziate fra loro fra i 40 e i 70 centimetri.
Più di un milione di ettari
In tal senso, si parla in Italia di una superficie di circa un milione e 100mila ettari. Di questi, 560mila sono investiti a mais, 340mila a soia e 110mila a girasole. Un business che quindi diventa interessante anche solo considerando queste tre colture, tutte diserbabili meccanicamente con uno o due passaggi in post-emergenza della coltura. A questa pratica virtuosa guardano per esempio le sarchiatrici “Transformer Vf” di Horsch, caratterizzate da un design robusto e compatto del telaio.
Questo è inoltre dotato di un sistema traslatore completamente integrato, da cui origina la sigla “Vf”, “Variable frame”, volto a ridurre le conseguenze di eventuali errori nella conduzione, oppure di derive involontarie dell’attrezzatura.
Danneggiare la coltura è infatti un attimo, eventualità che è quindi bene scongiurare. In tal senso, a migliorare la precisione delle “Transformer Vf” di Horsch concorre la loro eccellentestabilità, garantita questa dalla struttura portante composta da elementi a sezione quadrata e dal profilo saldato che minimizzano letorsionidovute alle sollecitazioni meccaniche. Essendo però le aziende italiane caratterizzate da superfici alquanto diverse, tre sono le ampiezze di fronte operativo disponibili. La serie attacca infatti da un minimo di sei metri, offrendo poi due soluzioni da nove e 12 metri, massima larghezza offerta dalle Rosse tedesche.
Pur avanzando a velocità contenute, fra i tre e i cinque chilometri orari, con la top di gamma si possono quindi coprire dai tre ettari e mezzo ai sei ettari l’ora, ovviamente al netto delle svolte. Con le versioni da nove e 12 metri, però, si è reso necessario dotare le attrezzature di un particolare sistema di ripiegamento ad azionamento idraulico per rendere possibile il trasporto su strada nel rispetto dei tre metri di larghezza. Il ripiegamento delle ali sarchianti, suddivise in cinque differenti sezioni, viene operato da un cilindro che le compatta sino alla larghezza di due metri e 95 centimetri. L’angolazione delle ali è inoltre regolata da un cilindro a doppia corsa capace di ribaltamenti fino a 90 gradi. Questo permette svolte più agevoli, come pure permette alle sarchiatrici di meglio adattarsi al profilo del terreno in caso si operi in aree collinari. Grazie quindi a tali ali flottanti diviene possibile operare anche su appezzamenti irregolari e disomogenei per giacitura.
Elevata luce libera da terra
A tale flessibilità di impiego concorre anche una luce libera da terra di 660 millimetri che permette disarchiare soia e barbabietola anche nelle fasi più avanzate della coltura. Il mais è invece sarchiabile solo fino allo stadio di sei-otto foglie, ma dopo tale stadio le file chiudono e a competere con le malerbe ci pensa la coltura stessa.
Horsch “Transformer Vf”: anatomia di una sarchiatrice
Strutturate come detto sulla base di un telaio a parallelogramma, l’attrezzatura consta di tre barre porta attrezzi. Queste possono essere regolate in larghezza per operare su file a 25, 30, 45, 50, 60, 70, 75 centimetri nelle versioni da nove e 12 metri, mentre nel modello da sei metri è possibile sarchiare anche interfila da 80 centimetri.
Gli elementi sarchianti avanzano vomeri da 15 e 18 centimetri di larghezza, i cui coltri sono fissati alle molle tramite due bulloni che ne permettono una veloce sostituzione quando usurati. Anche l’elettronica gioca un ruolo fondamentale nelle performance delle “Transformer Vf”. Tramite protocolli isobus, per esempio, il sistema “RowLift” amministra la funzione “SectionControl” che consente di sollevare automaticamente i singoli segmenti in accordo con la posizione determinata tramite gps, agevolando in tal modo le svolte a fine campo.
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Titolo: Sarchiatrici Horsch “Transformer Vf”: ferro batte malerbe
Autore: Redazione