Il 6 luglio scorso è stato finalmente varato il cosiddetto “Collegato agricolo” che dovrebbe riorganizzare e rilanciare il settore primario grazie a una semplificazione delle norme, a una forte tutela del reddito e all’incentivazione del ricambio generazionale. Molti però i dubbi sulla sua effettiva possibilità di applicazione e sui suoi effettivi ritorni
Ci sono voluti 990 giorni, quasi tre anni, di gestazione e di ping-pong tra Camera e Senato, ma alla fine è arrivato. Quel complesso di norme che prende il nome di “Collegato Agricoltura” e che il ministro Maurizio Martina ha proposto quali risolutrici per tutti i problemi che gravano sull’agricoltura nazionale, ha finalmente visto la luce. Ora se ne possono quindi analizzare i contenuti e verificare se davvero daranno luogo a norme meno farraginose e complesse, a una tutela dei redditi delle aziende e all’avvio di quel ricambio generazionale di cui tanto si parla ma che di fatto è lento e faticoso. Ritorni magnifici, ma si teme solo teorici in quanto a fianco di molti provvedimenti certamente utili, ve ne sono altri, molti e troppi, delegati al Governo e che quindi non solo non risultano immediatamente operativi, ma dipenderanno in termini di successo da come il Governo utilizzerà le deleghe e in che tempi. A ciò si aggiunga che anche alcune parole d’ordine del “Collegato”, in primis la “semplificazione”, impattano solo su temi non prioritari, quasi che a fronte delle difficoltà di attuare una vera semplificazione si sia preferita la tattica del minimo indispensabile. Vengono per esempio ridotti i tempi necessari per aprire un’azienda agricola e viene eliminato l’obbligo del fascicolo per i piccoli produttori olivicoli, ma non viene riformata l’Agea, Agenzia per le erogazioni in agricoltura, non vengono semplificate le procedure “Pac” e men che meno quelle che disciplinano i Piani sviluppo rurale. Intendiamoci, alcuni provvedimenti di immediata applicazione sono certamente utili per alcuni settori, come per esempio le norme che introducono la definizione di “birra artigianale” o quelle inerenti la definizione dei prodotti derivati dalla trasformazione del pomodoro e valide sono anche le norme sul riso, l’introduzione della prelazione agraria anche a favore degli imprenditori agricoli professionali e non solo per i coltivatori diretti o l’introduzione di un sistema informativo per l’Agricoltura Biologica. Bene pure l’esclusione dai rifiuti degli sfalci e delle potature del verde pubblico e privato. Si tratta però sempre e comunque di temi abbastanza marginali mentre i “grandi temi” sono stati delegati al Governo che, con appositi decreti legislativi, dovrà riorganizzare Ismea, Crea, Sin, Agecontrol, Agea ed Ente Risi. Un compito titanico che finora nessuno è mai riuscito a sviluppare nonostante si tratti di aspetti fondamentali per dare al Mondo agricolo una maggior snellezza ed efficacia operativa, riducendo le sovrapposizioni di funzioni e di interessi, riorganizzando il sistema dei controlli evitando inutili e dispendiose sovrapposizioni di competenze, che si traducono in controlli, a carico della medesima azienda, ripetuti da più soggetti che vanno a verificare le medesime cose. Anche tutto il grande tema della gestione dei rischi in agricoltura è stato delegato al Governo cui spetta quindi il compito di riordinare gli strumenti esistenti per coordinarli e implementarli con strumenti di regolazione dei mercati. Si dovranno integrare le tematiche dei rischi connessi alle avversità atmosferiche con quelli legati alle calamità e ciò sia a carico delle produzioni agricole e zootecniche sia delle strutture disciplinando i fondi di mutualizzazione. All’atto pratico accade quindi che il “Collegato” sia al momento solo una buona base di partenza verso quegli interventi di cui l’Agricoltura ha bisogno per rilanciarsi, ma non contenga ancora gli interventi. Le parole d’ordine del Ministro, semplificazione, tutela del reddito, ricambio generazionale e riorganizzazione, diventeranno realtà solo se il Governo saprà gestire con rapidità ed efficacia le deleghe di sua competenza, ma i dubbi in tal senso sono forti sapendo che in Italia si lavora solo per emergenze e non sulla base di piani organici di sviluppo. Il rischio che il “Collegato“ resti solo sulla carta è quindi concreto fermo restando che si sarebbe i primi a essere felici se per una volta si venisse smentiti dal lancio di un Piano nazionale se non di lungo termine, almeno di medio. Questo è ciò che davvero chiede l’agricoltura italiana.