Le proteste degli agricoltori contro le più assurde norme proposte dalla Pac presero avvio in Germania alcuni mesi fa, allorché il governo di Olaf Scholz decise di eliminare i sussidi al gasolio agricolo. Il carburante in realtà ha fatto solo da miccia per una protesta che rapidamente si è estesa in tutta Europa con motivazioni in parte locali, ma con due comuni denominatori.
Pac ambientalista e prezzi al ribasso
Uno era legato alla Politica Agricola Comune, caratterizzata dal programma denominato “Green New Deal” messo fondamentalmente a punto dall’olandese Frans Timmermans e sostenuto dall’attuale governo Europeo. Altro elemento di contestazione gli andamenti dei prezzi delle principali derrate agricole, altalenanti e comunque sempre punitivi per le produzioni alla fonte, cioè per gli agricoltori. Dopo la fiammata del post-pandemia e l’inizio del conflitto russo-ucraino i prezzi sono in effetti scesi oltre la soglia di guardia e ciò anche a causa delle importazioni dall’Ucraina aumentate per sostenere economicamente quel paese invaso dalla Russia di Putin.
Le proteste italiane
Da qui le proteste europee e anche quelle italiane. Le stesse motivazioni sono infatti state alla base anche delle contestazioni nazionali, rinforzate però dall’eliminazione dell’esenzione dall’Irpef delle aziende agricole e da altre e più locali motivazioni relative a problemi a volte veri e volte no. Le proteste in Italia hanno avuto avvio all’inizio di Febbraio, si sono svolte praticamente in tutti i capoluoghi di Provincia e nei principali centri urbani e hanno coinvolto migliaia di agricoltori che hanno di fatto scavalcato le loro Organizzazioni agricole di appartenenza, Coldiretti, Confagricoltura e Cia, dimostrando in maniera concreta la distanza dalle rispettive basi associative.
A conferma il fatto che parte delle proteste erano avanzate proprio contro chi avrebbe dovuto tutelare il settore agricolo e non l’ha evidentemente fatto. I trattori che hanno invaso le strade italiane si sono inoltre mossi insieme, a prescindere dall’appartenenza sindacale, per lanciare un grido d’allarme per un settore che, nonostante i falsi storytelling di Coldiretti, tesi a rendere una visione “buonista” dell’agricoltura, trova sempre più difficile fare reddito e resistere. Lo dimostrano il numero di aziende agricole e zootecniche che annualmente chiude e l’indebitamento medio delle aziende indotto da costi crescenti delle materie prime e del gasolio a fronte di remunerazioni dei prodotti al ribasso. Il tutto abbinato a un clima sempre più imprevedibile con la conseguenza che pure le rese produttive sono quanto mai incerte.
Tante sigle, una sola rabbia
Da queste proteste sono nate diverse sigle di gruppi di agricoltori che protestano. “Agricoltori Autonomi”, “Agricoltori Italiani – Uniti si vince”, “Comitato Agricoltori Traditi”, “Comitati Riuniti Agricoli”, “Riscatto Agricolo” e altre ancora, presenti in alcune o diverse aree del Paese che con la loro presenza hanno dimostrato come la distinzione tra agricoltori appartenenti a diverse sigle sindacali sia del tutto virtuale. A ciascuno di gruppi auto-organizzatisi appartengono infatti agricoltori afferenti a tutte e tre quelle sigle sindacali, strutture che si peritano di rimarcare differenze fra loro solo per giustificare la propria esistenza, distinzioni che evidentemente la base agricola non comprende e non condivide posto che i problemi sono comuni e quindi le soluzioni vanno trovate insieme. Senza contare che un comparto con meno di 350 mila agricoltori professionali non si giustifica il peso economico che grava sulle aziende agricole di tre organizzazioni sindacali.
Iniziative ridicole e fine a se stesse
Queste ultime hanno ovviamente cercato di reagire con Coldiretti che grazie alla sua forza mediatica ha cercato di porsi a capo della protesta – da barzelletta la corsa a Bruxelles a protestare abbandonando il presidio a Fieragricola a Verona – e sostenendo le tesi e le rivendicazioni già avanzate dai Comitati spontanei, attività peraltro a tratti svolta in aperta contraddizione con quanto affermato dai cappellini gialli fino a pochi mesi prima, quando il presidente Ettore Prandini si diceva favorevole alla riforma agricola e al “Farm to Fork”. Sempre Coldiretti ha inoltre provato a inventarsi nemici immaginari da combattere per cercare di attirare l’attenzione su temi che potessero essere identitari e trasversali, sia per il mondo agricolo sia per il consumatore – la farina di insetti e la “carne sintetica” per esempio – arrivando a rispolverare le famigerate “marce sul Brennero” per bloccare i prodotti che arrivano dall’estero attribuendosi le funzioni che oggi neanche la Dogana si arroga. Il tutto con il supporto della Polizia di Stato, cosa che la dice lunga sull’intreccio di potere di cui è capace l’Organizzazione. Da ricordare per chi non fosse addetto ai lavori che oggi chi fa arrivare derrate agricole dall’estero non compie un reato visto che in ambito europeo il motivo fondante dell’Unione è la libera circolazione delle merci e delle persone. Inoltre l’Italia non è autosufficiente nella produzione di molte derrate e quindi per produrre le specialità italiane, i tanto decantati prodotti Dop e Igp servono materie prime estere. A giorni le elezioni e quindi in Europa un nuovo Governo. Peccato che in Italia non si possa fare lo stesso anche con i sindacati.
Titolo: Proteste degli agricoltori, il punto a riflettori spenti
Autore: Fabio Fracchia