Il marchio Laverda in ambito agricolo è sinonimo di mietitrebbia ma nel corso della sua storia la Casa non produsse solo macchine agricole, cimentandosi in numerose prodotti industriali forti di soluzioni progettuali innovative. Le immagini di questo articolo per cortesia dell’“Archivio Storico Pietro Laverda Breganze”.
Il 10 agosto del 1845 nacque a San Giorgio di Perlena, in provincia di Vicenza, Pietro Laverda, fondatore dell’omonimo azienda e di quello che nel tempo sarebbe diventato uno dei più importanti marchi italiani operanti nel settore della meccanizzazione agricola. Il marchio Laverda appunto. Nessuno allora avrebbe potuto immaginare che un giorno quel neonato sarebbe diventato un imprenditore. Ma bastarono pochi anni per far capire a tutto il Paese che il ragazzo proponeva abilità non comuni. All’età di soli tredici anni costruì infatti un orologio di legno a contrappeso. Opera che spinse la famiglia ad avviare il giovane verso studi superiori per perfezionare conoscenze e capacità. Laverda: non solo macchine agricole
Un’azienda versatile
Quando nel 1873 Pietro Laverda tornò al paese e aprì bottega i primi prodotti cui dedicò le proprie energie non furono però gli orologi, che iniziò a costruire una ventina di anni dopo, ma torchi per vinacce e sgranatoi da mais. Tutte realizzazioni di qualità che permisero al Nostro di superare le problematiche economiche indotte dalla cosiddetta “lunga depressione”.
Periodo di crisi che ebbe origine a Vienna e si propagò fino agli Stati Uniti d’America. Colpendo il settore agricolo con una forte eccedenza di offerta sulla domanda. Ne derivò una caduta dei prezzi che travolse migliaia di agricoltori e che portò l’intera Europa a riflettere sulla necessità di introdurre nel settore agricolo nuove forme organizzative e produttive. Laverda: non solo macchine agricole
Pietro Laverda seppe rispondere a tali esigenze giocando sulla versatilità della sua azienda. La stessa che verso la fine del secolo divenne famosa per i suoi cannoni grandinifughi. Anche grazie a tali prodotti l’officina visse una costante crescita che nel 1904 la portò a doversi trasferire in altra sede. A Breganze, sempre in provincia di Vicenza, per diventare una vera e propria realtà industriale. La produzione venne ampliata con l’inserimento di trebbiatrici a mano, trinciapaglia e girarrosti. Attrezzi che con l’avvio della Prima Grande Guerra cedettero poi il posto alla produzione di granate e mezzi ausiliari per le truppe alpine.
La chiave di volta fu la fienagione
Al termine del conflitto, ovviamente, l’Azienda si trovò nella necessità di riconvertire nuovamente la produzione. Operazione che Pietro Laverda avviò, ma che fu poi portata avanti dai nipoti Giovanni Battista e Pietro Junior a seguito della sua scomparsa nel 1930.
A loro si legano i lanci del primo torchio per vinacce a funzionamento idraulico e di una falciatrice meccanica a traino animale realizzata nel 1934. Un successo diede origine alla produzione di altri mezzi orientati alla fienagione che, nel loro complesso, rappresentarono la chiave di volta verso una dimensione aziendale ancora di più ampio respiro e tale da dare al Marchio una dimensione internazionale.
Questa fu sancita, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale e nell’anno in cui Benito Mussolini varò le leggi razziali in Italia, dal lancio della mietilegatrice “Ml 6”. Capostipite di una fortunata serie di macchine da raccolta. La nuova Guerra rappresentò però un ennesimo spartiacque per Laverda in quanto la costrinse dapprima a ridurre la produzione di macchine agricole per poter far fronte alle commesse dell’esercito e poi ad affrontare la grave crisi economica dovuta al Conflitto. La stessa che costrinse la ditta a una riduzione del personale e della produzione.
La fabbricazione di macchine agricole fu quindi ridotta e ciò spinse Francesco Laverda, nipote del fondatore, a sondare altri possibili business. Il più famoso dei quali si avviò nel 1949 con la creazione di Moto Laverda, di fatto la divisione motociclistica della Casa.
Esordio a due ruote
La produzione esordì con una motocicletta leggera mossa da un motore originale di soli 75 centimetri cubi che ottenne grandi successi sia commerciali sia nelle gare di gran fondo. Ma i modelli, che diedero al marchio una fama internazionale nel settore, furono le bicilindriche “Sf 750” del 1970. Ancora oggi fra le moto d’epoca più ricercate. Nel 1962 Laverda aveva inoltre acquisito la gestione dello stabilimento aeronautico Caproni di Trento per installare in loco una fonderia atta alla produzione di componenti per le macchine agricole.
In tale ambito maturarono poi anche le produzioni di roulotte da campeggio, il cui progetto più originale fu costituito dalle caravan “Serie Blu”, e, tra il 1964 e il 1968, la costruzione dei velivoli “Falco F8 L”, ancora oggi venduto in kit negli Stati Uniti. Macchine agricole, moto, aerei e caravan erano e sono prodotti molto differenti fra loro, ma tutti quelli realizzati sotto l’egida della Casa vicentina furono caratterizzati e accomunati da soluzioni tecniche innovative, quelle stesse che furono alla base del successo maturato dalle macchine agricole a partire dal Secondo Dopoguerra sulla spinta del relativo boom economico.
Questi avviò una nuova stagione produttiva che si concretizzò nel con il lancio nel 1956 della prima mietitrebbia serie “M”, M 60”, di fatto la prima mietitrebbia italiana di concezione moderna e costruita in grande serie. Nel 1964 fu la volta di“M 120”, mietitrebbia di grande produttività, e poi, nel 1970, di “M 100 Al”, prima mietitrebbia autolivellante, creata per le zone collinari italiane.
Oggi in mani americane
Col passare degli anni e complici gli altalenanti andamenti dell’economia nazionale la produzione delle mietitrebbia finì col prevalere su qualsiasi altra. Tant’è che nei primi Anni 80 cessò la produzione delle caravan e nei primi Anni 90 cominciò a soffrire la produzione motociclistica. Dopo alterne vicende il Marchio in ambiti motociclistico venne acquisito nel 2004 dal gruppo Piaggio, mentre le mietitrebbia continuarono a riscuotere successo cosa che finì con l’attirare su di esse le attenzioni delle grandi multinazionali di settore.
In primis Fiat Trattori che dapprima acquisì il 25 per cento di Laverda, nel 1977, e poi, nel 1981, il restante 75 per cento. Nel 1992 il Marchio viene poi inglobato in New Holland e nel 2000, a seguito dell’acquisizione da parte di New Holland di Case Ih, su input degli enti internazionali anti trust sarà ceduto dapprima al gruppo Argo Tractors che a sua volta fra il 2008 e il 2011 lo cedette al gruppo Agco, attuale detentore.
Più che moto, veri miti
Al di fuori dell’ambito agricolo e un tutto il Mondo il marchio Laverda è sinonimo di moto prestazionali, affidabili e innovative. Tanti i modelli lanciati dalla Casa. Ma tre quelli che più di ogni altro hanno costruito il mito di un brand che si avviò con la realizzazione della piccola “Laverda 75”. Una motoleggera quattro tempi lanciata nel 1950 con una potenza di quattro cavalli poi salita a cinque con la versione sport.
La due ruote vicentina monopolizzò le gare di durata del tempo arrivando a conquistare nel 1954 i primi dieci posti al Motogiro d’Italia. Pose le basi per il lancio di numerose altre moto leggere che ottennero tutte discreti successi di vendita. A partire dalla metà degli Anni 60 il mercato però si orientò sempre più verso le alte potenze. Ambito che Laverda decise di presidiare nel 1970 con la sua “Laverda 750”, altro mito e altra moto plurivittoriosa nelle gare endurance grazie alla sua affidabilità.
Laverda 1000 V6
“Laverda 750” e in particolare le versioni “Sf” ed “Sfc” rientrano oggi fra le moto d’epoca più ambite dai collezionisti. Affermazione che purtroppo non può valere per “Laverda 1000 V6”, del 1977, in quanto prodotta in soli due esemplari. Ciò nonostante anche tale modello è oggi leggendario grazie alle sue avanzatissime concezioni costruttive. A partire dal motore, un sei cilindri a “V” di 90 gradi progettato dall’ingegner Giulio Alfieri, padre dei più bei motori Maserati e Lamborghini. Installato longitudinalmente su un telaio a diamante, era alimentato da sei carburatori monocorpo invertiti ed erogava circa 140 cavalli che si scaricavano a terra tramite un cambio a cinque marce ed una trasmissione finale a cardano.
In grado di superare i 285 chilometri/ora, la moto esordì in pista nel 1978 sul circuito francese del Paul Ricard. In occasione della gara di endurance Bol d’Or e per otto ore, alla guida di Nico Cereghini e Paolo Perugini, rivaleggiò alla pari con le supercollaudate due ruote giapponesi ed europee. Poi si ruppe il cardano e con lui finì la storia di “Laverda 1000 V6”. Complice un regolamento di gara che dal 1979 vietò l’uso dei sei cilindri. Di fatto una moto che visse solo otto ore, ma che ancora oggi è uno dei migliori emblemi delle capacità costruttive italiane di settore.
Agile e veloce come un falco
Progettato nel 1955 dall’ingegner Stelio Frati, “Falco F.8L” fu capostipite di una linea di velivoli biposto sportivi inizialmente costruiti dall’azienda milanese Aviomilano e poi dall’azienda trentina Aeromere, in seguito acquisita da Laverda. A Laverda si deve la costruzione di venti esemplari ribattezzati “Laverda Super Falco F8 L” buona parte dei quali oggi ancora volanti e noti nell’ambiente quali “Ferrari del cielo”.
Si giovano infatti di linee pulite, superfici levigate e un ridotto ingombro frontale. Connotazioni foriere di una ridottissima resistenza aerodinamica e quindi di velocità considerevoli anche con motorizzazioni di limitata potenza. Non a caso “Falco F8L” si impose in numerose competizioni di velocità e di rally. Performance che abbinate a una grande semplicità costruttiva nel 1970 attirarono le attenzioni del costruttore statunitense “Sequoia Aircraft”. Specializzato nella vendita di aerei in kit di montaggio. La Casa statunitense fece suo il progetto di “Falco F.8L” e ancora oggi lo rende disponibile sia a livello di piani costruttivi sia in kit di montaggio.
Per tetto un cielo di stelle
Le caravan “Serie Blu” furono uno dei prodotti che meglio espressero la creatività che permeava il marchio Laverda. Stupirono infatti il settore del plein air sia per la loro livrea azzurra anziché bianca come era prassi nel comparto, sia con le loro forme squadrate. Volute per massimizzare gli spazi abitativi. Fecero scuola poi l’ampia finestra bombata anteriore, inserita per migliorare l’aerodinamica, e la parete posteriore abbattibile, che permetteva di raddoppiare la superfice interna del caravan senza penalizzarne gli ingombri in fase di trasporto su strada.
L’intera struttura era inoltre realizzata con pareti frutto di un’inedita tecnologia di placcaggio con poliuretano iniettato sotto pressa. Ne migliorava coibentazione e resistenza alleggerendole nel contempo. Di fatto un coacervo di soluzioni avveniristiche. Talmente avanzate che non furono del tutto capite dal mercato costringendo la Casa a ridiscutere la propria presenza nel settore nonostante la buona accoglienza riservata ad altri prodotti. In particolare le caravan serie “Ascot”.
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Laverda: non solo macchine agricole
Autrice: Sara Torricelli