Secondo Terna, il gestore nazionale delle reti elettriche, l’Italia nel 2015 sarebbe stata la terza nazione al Mondo produttrice di biogas. Battuta solo da Germania e Cina. Ciò grazie a circa mille e 300 impianti 130 dei quali proposti dalla sola provincia di Cremona. Una volta tanto un primato positivo, se non fosse che proprio l’enorme diffusione di tali impianti ha cominciato a dar luogo a una serie di problematiche sulle quali è giusto riflettere. Etiche e tecniche. Sulle prime c’è poco da discutere. In un Mondo che vede quasi 800 milioni di persone soffrire la fame, dato Fao, non è accettabile che si sprechino terre fertili per dar luogo a colture non alimentari. Intendiamoci, non sarà qualche ettaro in più o in meno di terra italiana che risolverà o accentuerà il problema, soprattutto nei Paesi asiatici o africani, ma lo sfruttamento di ogni fazzoletto fertile disponibile dovrebbe rientrare in tutti i programmi internazionali tesi ad arginare la fame, unitamente all’eliminazione degli sprechi alimentari, a un sempre più spinto innalzamento delle rese e ad altre misure. Di stampo decisamente più concreto e tangibile i problemi tecnici, in primis quelli legati agli inquinamenti delle falde e dell’aria indotti dagli impianti biogas. Causa l’azione corrosiva dei digestanti i cementi armati che fungono da base dei digestori con gli anni tendono a microfessurarsi permettendo al digestato stesso di fuoruscire penetrando poi nel terreno. Più o meno lo stesso avviene a livello atmosferico, con la differenza che a cedere sono le tenute che sigillano i digestori. Le perdite ammorbano l’aria e, quel che è peggio, rilasciano in atmosfera gas altamente inquinanti. Per far fronte a tali problemi servirebbero manutenzioni preventive, ma la maggior parte degli impianti nacque per sfruttare delle corpose incentivazione statali partendo dall’idea che gli impianti stessi non avrebbero avuto bisogno di grandi manutenzioni. Oggi la realtà si sta rivelando diametralmente opposta e non tutti gli imprenditori di settore hanno le risorse e le capacità necessarie per intervenire. D’obbligo quindi ripensare agli impianti biogas tenendo conto delle esperienze fino a oggi maturate e riorientando gli stessi al loro iniziale profilo di missione che era quello di valorizzare i rifiuti biodegradabili, dall’umido urbano, alle deiezioni animali e agli scarti industriali in un’ottica di economie circolari. Biogas e bio-metano sì, quindi, ma solo se inquadrati in un ciclo virtuoso e di ampio respiro e non quali prodotti di un processo a loro orientato. Diversamente si rischia che gli imprenditori di settore vedano il proprio business trasformarsi nell’unica e ultima sostanza gassosa da loro prodotta.
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