Fin dal suo esordio quale costruttore di trattori, nel 1928, Landini restò sempre fedele ai propulsori a testacalda, motori semplici, robusti e di facile manutenzione. Tale formula permise alla Casa di essere protagonista del mercato fino all’inizio degli Anni 50 del secolo scorso, quando i motori diesel, diventati sempre più affidabili compatti e prestanti, cominciarono a mettere alle corde i testacalda. Landini tenne duro, ma venne lentamente surclassato sul mercato italiano da Fiat e subì anche il sorpasso di Same.
A Fabbrico, pur continuando a sviluppare dei trattori testacalda attuali e prestazionali come i modelli “30”, “Maior 44” e “35/8”, si resero conto che quel tipo di motorizzazione aveva segnato il suo tempo ed era necessario passare ad altro.
Landinetta: un po’ trattore, un po’ porta-attrezzi
Fu così che verso il 1955, sotto la guida di James Landini, la direzione tecnica per non rinnegare ventisette anni di fedeltà al testacalda concepì un trattore completamente nuovo che non sostituiva quelli esistenti puntando piuttosto ad aprire una nuova classe merceologica proponendosi quale “utilitaria dei campi”, una tipologia di veicolo sondata nel 1931 da MotoMeccanica con il suo “Balilla” ma poi caduta in disuso.
Rispetto alla formula di “Balilla” il nuovo trattore Landini doveva però vantare una superiore carica di versatilità e polivalenza proponendosi quali alla stregua di un porta-attrezzi atto a meccanizzare le tante aziende agricole che ancora ricorrevano ai buoi o alle numerose carioche in attività. Da qui la necessità di un peso contenuto in soli 11 quintali, un passo di 163 centimetri e una potenza al volano di 20 cavalli erogati da un inedito diesel a due tempi a iniezione indiretta, un monocilindrico verticale da un litro e 235 centimetri cubi realizzati con un alesaggio era di 110 millimetri e una corsa di 130. Progettato e costruito interamente a Fabbrico, il motore avrebbe dovuto fungere da base per una successiva produzione di unità pluricilindriche di maggior potenza, ma la difficile messa a punto e piccoli problemi di affidabilità ne decretarono una prematura messa a riposo e la sua sostituzione con i più affidabili diesel prodotti Perkins, unità che permisero a Landini di passare dal testacalda al diesel senza dover sostenere pesanti investimenti per la ricerca e lo sviluppo dei propulsori.
Non mancò qualche problema
I problemi funzionali del motore impedirono al trattore di avere un riscontro di mercato pari alle aspettative della Casa e ciò nonostante un nome, “Landinetta”, che ispirava simpatia e fiducia risultando coerente col fatto che contrassegnava il più piccolo Landini mai costruito e un’estetica slanciata e innovativa, lontana anni luce dai massicci e imponenti testacalda ancora in produzione. Il trattore fu ufficialmente lanciato a Verona nel 1956 e ovviamente suscitò non poca curiosità, complice una luce a terra pronunciata che permetteva di portare anche attrezzature ventrali oltre a quelle posteriori e anteriori. Ad attirare era comunque il motore, a struttura portante in quanto imbullonato anteriormente alla culla dell’assale e posteriormente alla trasmissione e forte di una potenza massima di 20 cavalli erogati a mille e 300 giri alla cui realizzazione contribuiva un compressore a lobi che spingeva l’aria nella camera di manovella attuando una vera e propria forma di sovralimentazione.
Landinetta, un chilo e mezzo di gasolio/ora
Il raffreddamento era ad acqua con circolazione forzata, come la lubrificazione, attuata mediante una pompa a ingranaggi e protetta da un filtro autopulitore.
L’avviamento era elettrico e il cofano monoblocco ribaltabile in avanti consentiva un buon accesso alla meccanica. Fra i pregi del propulsore un consumo di combustibile limitato a un chilo e mezzo di gasolio ogni ora a fronte però di un consumo di olio non irrilevante. Di fatto un’unità innovativa la cui messa a punto fu più lunga del previsto proprio per questo motivo, tant’è che le prime consegne iniziarono a Novembre e Dicembre del 1956 per regolarizzarsi solo l’anno successivo, quando però erano arrivati sul mercato anche altre macchine di pari impostazione. Inoltre il motore necessitava di una periodica messa a punto, operazione non sempre alla portata dei normali clienti e proponeva una candeletta di pre-riscaldo che tendeva ad andare spesso a massa rendendo difficoltoso l’avviamento.
Problemi risolvibili, ma che non furono accettati dalla clientela Landini, abituata a macchine di provata affidabilità e pressoché esenti da avarie, e che limitarono non poco le vendite nonostante la possibilità offerta dalla Casa di scegliere fra due diverse trasmissioni. Un grosso volano, una frizione meccanica e un lungo albero di trasmissione trasmettevano infatti la coppia motrice a un cambio a cinque marce avanti più una retro che di serie proponeva una velocità minima di poco superiore ai due chilometri/Ora e una massima di quasi 15.
In opzione una trasmissione “veloce”
prestazioni che potevano rispettivamente passare a tre chilometri/ora e mezzo e a 22 chilometri/ora optando per la trasmissione opzionale denominata “Veloce”. In ogni caso il cambio era comandato da una sola leva e di serie erano previsti il blocco del differenziale posteriore e i due pedali freno separati e collegati alla leva a mano. I riduttori erano in cascata e potevano essere ruotati verso l’alto per abbassare il veicolo così da adattarlo ai vigneti e ai frutteti previa modifica dell’assale anteriore. Quest’ultimo era comandato da un volante sufficiente demoltiplicato e quindi leggero che abbinato a un raggio di sterzo di soli tre metri rendeva il trattore agile e facile da manovrare.
La presa di forza indipendente dalla trasmissione operava a 540 giri al minuto ed era offerta di serie anche la sincronizzata cambio per i rimorchi autotraenti. Standard anche la presa di forza anteriore fissata alla puleggia con velocità da 500 a mille e 300 giri in funzione del regime motore e la barra di traino posteriore regolabile in altezza, mentre era a richiesta il sollevatore alza/abbassa. Essenziale ma comodo il posto guida, con il sedile ammortizzato regolabile e due piccole pedane per l’appoggio dei piedi.
La strumentazione si limitava al manometro della pressione dell’olio e al termometro della temperatura dell’acqua racchiusi in un unico elemento mentre risultava curato, almeno per l’epoca, l’impianto di illuminazione da lavoro, costituito da proiettori anteriori di buona potenza e da un faro posteriore per illuminare gli attrezzi.
Gli eredi di “Landinetta”
Nonostante le indubbie qualità e le innovazioni proposte, in primis il motore sovralimentato, “Landinetta” godette di un successo di vendita discreto ma non eclatante. Vennero infatti prodotti solo mille e 400 trattori circa ma ebbero il merito di dare vita al primo cingolato Landini, in sigla “C 25”.
Era dotato dello stesso motore ma con cilindrata portata a mille e 350 centimetri cubi grazie all’aumento dell’alesaggio da 110 a 115 millimetri che diede luogo a una potenza a 25 cavalli. Nel 1958 “Landinetta” fu poi sostituita dal modello “R 25”, equipaggiato con lo stesso motore da 25 cavalli del cingolato e con una trasmissione a dodici marce realizzate mediante l’installazione di un riduttore supplementare. Nel 1958 fu presentato anche “Dt 25”, primo trattore a doppia trazione della Casa che assieme agli altri modelli avviò un periodo di profondo rinnovamento dell’offerta Landini, ormai vicina al completo abbandono dei testacalda.
Tale iter si realizzò poi con la decisione di equipaggiare i nuovi trattori con motori Perkins, mezi che esordirono nel 1959 con “R 50”, un ruotato da 50 cavalli che fu seguito da lì a poco dal cingolato” C 35”. Il binomio Landini-Perkins ridiede smalto al marchio di Fabbrico, avviando un nuovo capitolo della sua storia che continua ancora ai giorni nostri.
Titolo: Landinetta, il primo diesel di Fabbrico
Autore: Massimo Misley