Ancora la carne nel mirino dei furori ambientalisti che alimentano una comunicazione priva di stile e di sostanza. Ultimi esempi due articoli pubblicati dal sito “Dagospia” e dal quotidiano romano “Il Tempo”.
Nel 1947 lo scrittore francese Raymond Queneau pubblicò uno dei suoi libri più famosi. “Esercizi di Stile”. L’opera parte da un quotidiano episodio di vita raccontandolo nel rispetto della cronaca. Per quello che è stato e limitandosi ai fatti. L’Autore ridescrive poi lo stesso evento per altre novantanove volte, utilizzando però forme narrative sempre differenti per dar luogo nel lettore ai più diversi stati d’animo. Allegria, tristezza, ira, compassione e via discorrendo. La dimostrazione concreta di come, usando in maniera opportuna le parole, sia possibile suscitare emozioni anche forti nel lettore nonostante si sia alle prese con un evento banale arrivando a distorcere la percezione stessa della cronaca. Queneau, di fatto, codificò quel genere letterario che in seguito sarebbe stato definito “scrittura creativa”, forma espressiva che poi ispirò centinaia di scrittori in tutto il Mondo e anche diversi giornalisti contemporanei. Furori ambientalisti privi di stile
Agricoltura e allevamento nel mirino
In particolare fra questi ultimi, quelli che per incapacità, ansie di protagonismo o pressioni esterne decidono di non fare il proprio mestiere e anziché scrivere attenendosi ai fatti piegano la realtà alle proprie idee o a quelle di chi li paga. Una prassi scontata quando si parla di agricoltura e allevamento, ambiti sempre approcciati in modo da scatenare indignazioni e paure nei lettori indipendentemente dai puri fatti di cronaca. Ultimi esempi in tal senso due articoli avanzati dal sito internet “Dagospia” e dal quotidiano “Il Tempo” per riassumere uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Leeds, in Inghilterra, teso a verificare la presenza di eventuali relazioni tra il consumo di carne e l’insorgere di demenze senili.
Da una parte uno studio universitario denso di metodi statistici e numeri complessi stilato coinvolgendo 500 mila soggetti analizzati sulla base di un lasso di tempo di decine di anni. Dall’altra giornalisti poco informati sul tema che per guadagnarsi la pagnotta hanno sintetizzato il tutto in poche righe cercando pure di coinvolgere emotivamente il lettore. Da qui il ricorso a un tono sensazionalistico avanzato senza chiedersi se quanto affermato dai testi degli articoli fosse corretto né se si fossero interpretati in maniera adeguata quei pochi dati numerici usati per conferire una parvenza di scientificità al tutto.
Dati: pochi e confusi
Si afferma, per esempio, che “tre mila partecipanti su 500 mila erano affetti da demenza senile”, ma non si spiega che si tratta di una percentuale inferiore al mezzo punto percentuale e quindi statisticamente minimale. Basti pensare che in Italia la demenza senile impatta su quasi il due per cento della popolazione. Si riporta inoltre che il consumo giornaliero di 25 grammi di carne rossa trasformata aumenta del 44 per cento la probabilità di sviluppare una demenza senile. La carne nel mirino dei furori ambientalisti
Vero, ma vero anche che lo studio teneva conto dello stato sociale dei partecipanti precisando che il consumo di tali carni è più frequente fra i ceti meno abbienti. Purtroppo chi è povero è costretto a nutrirsi con frequenza con i cosiddetti “cibi-spazzatura” e quindi più esposto al problema rispetto a chi invece ha la possibilità di accedere a cibi di qualità e variare la propria dieta. I tre mila soggetti di cui sopra non andrebbero dunque affiancati fra loro facendo di ogni erba un fascio, ma analizzati in maniera più compiuta.
Verità opposte
Quanto sopra senza contare che le stesse tabelle usate per incriminare il consumo delle carni lavorate, affermano anche il contrario, è cioè che il “non” consumarle aumenta il rischio di demenza senile, esattamente del 16 per cento. Lo stesso studio premia poi il consumo di 50 grammi di carne rossa fresca al giorno, più o meno una bella bistecca da 350 grammi a settimana, quale fattore che concorre a diminuire del 19 per cento il rischio di demenza senile. Certi giornalisti prima di scrivere dovrebbero in definitiva documentarsi, non foss’altro che per evitare di passare per pennivendoli disinformati. Nel box sotto, il titolo e le prime righe dell’articolo de “Il Tempo” e, a seguire, un esempio di come, pur avanzando le medesime affermazioni, basti invertirne l’ordine per modificare radicalmente la notizia. Furori ambientalisti privi di stile
Forme espressive a confronto
Titolo e prime righe dell’articolo pubblicato da Il Tempo
Una fetta di bacon al giorno potrebbe causare la demenza senile? I ricercatori dell’Università di Leeds affermano che il consumo giornaliero di carni lavorate incrementa considerevolmente il rischio di declino mentale. Lo studio … conclude che il consumo di 25 grammi al giorno di carni lavorate (circa 2 fette di bacon) aumenta il rischio di demenza senile del 44%. … D’altro canto, gli autori rivelano che l’assunzione giornaliera di circa 50 grammi di carni come manzo, suino o vitello possa contribuire ad una riduzione di circa il 19% del rischio di demenza. La carne nel mirino dei furori ambientalisti
Titolo e prime righe dello stesso articolo reinterpretate da Macchine Trattori
Una bistecca di manzo alla settimana potrebbe impedire l’insorgere di demenze senili?
I ricercatori dell’Università di Leeds affermano che il consumo settimanale di una bistecca da 350 grammi diminuisce considerevolmente il rischio di declino mentale. Lo studio … conclude che il consumo di 50 grammi al giorno di carne rossa fresca (pari a 350 grammi a settimana) diminuisce il rischio di demenza senile del 19%. … D’altro canto, gli autori rivelano che l’assunzione giornaliera di circa 25 grammi di carni lavorate … possa contribuire a un aumento di circa il 44% del rischio di demenza.
La carne nel mirino dei furori ambientalisti
Autore: Eugenio Demartini