di Furio Oldani
L’Unione Europea definisce l’intelligenza artificiale, in sigla “Ai” o “Ia” a seconda che la terminologia sia anglosassone o italiana, “l’abilità di una macchina nel mostrare capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività”.
L’Ai permette quindi ai sistemi di percepi- re gli ambienti circostanti, di mettersi in relazione con essi e di agire per cogliere obiettivi speci ci risolvendo gli eventuali problemi che si possono innescare. I sistemi operanti sulla base di analisi di Ai sono in pratica capaci di adattare il pro- prio comportamento e quindi quello degli hardware da loro pilotati, analizzando gli effetti delle azioni precedenti e lavorando in autonomia. Dovrebbero dunque rispondere in maniera flessibile agli input che ricevono dall’e- sterno adattandosi ad essi, a differenza dei software tradizionali che invece fanno operare i sistemi da loro controllati in maniera rigida e immutabile. Chiaro a questo punto che la capacità di una macchina di operare sulla base di programmi di intelligenza artificiale rappresenta un plus tecnologico non indifferente e, come tale, anche “vendibile” all’utente finale.
Proprio per questo motivo in Eima molte brochure pubblicitarie proponevano le rispettive soluzioni operative top di gamma quali mezzi in grado di operare in autonomia proprio sulla base di software di intelligenza artificiale. In realtà non era sempre così, nel senso che spesso le macchine di cui sopra operavano sì in autonomia, ma sulla base di software tradizionali non con- notabili quali programmi di intelligenza artificiale propriamente detti.
C’è anche l’Ai “debole”
Ciò vale anche nel caso di software particolarmente evoluti e complessi, programmi che si avvicinano a quelli di intelligenza artificiale, ma senza esser tali e tecnicamente connotati quali programmi “Weak Ai”, in italiano “Intelligenza artificiale debole”. Il rischio che la sigla “Ai” possa essere so- lo un motivo pubblicitario di promozione è quindi concreto, anche perché il con ne fra un software evoluto e un programma di intelligenza artificiale è sempre più labile e difficile a individuarsi. Un problema che in futuro sarà però superato in quanto l’Ai finirà col prendere il sopravvento.
Le prime ricerche negli anni ’50
Gli studi sull’intelligenza arti ciale risalgono agli Anni 50 e ai lavori del matematico inglese Alan Mathison Turing, cui seguirono negli Anni 60 quelli dell’informatico statunitense John McCarthy. Fu quest’ultimo che mise a punto il linguaggio di programmazione “Lisp” che divenne uno strumento fondamentale per le successive ricerche sull’Ia. Nei due decenni successivi gli studi si concentrarono poi sulle problematiche relative ai processi di apprendimento automatico e sulla messa a punto di reti neurali artificiali, tema cui diedero un forte impulso i lavori degli informatici Geoffrey Hinton, Yann LeCun e Yoshua Bengio, nati rispettivamente in Inghilterra, Francia e Canada. Negli Anni 2000, grazie alla crescita esponenziale delle potenze di calcolo dei computer, fecero poi passi da gigante l’apprendimento automatico e la messa a punto dei cosiddetti “alberi decisionali” che
permisero di affrontare problemi complessi come, solo per fare qualche esempio, il riconoscimento di immagini, la traduzione automatica e le raccomandazioni personalizzate. Tali possibilità operative hanno a loro volta dato luogo a ulteriori sviluppi che stanno rivoluzionando molti settori tra i quali la medicina, l’industria, la finanza e l’automazione, ma non senza dar luogo a problemi etici e sociali fondamentalmente legati alla tutela della privacy e all’impatto che tali tecnologie hanno sull’occupazione. L’intelligenza artificiale sta quindi aprendo un futuro pieno di promesse, ma richiede una gestione consapevole e responsabile.
Il futuro dell’intelligenza artificiale
È un futuro pieno di possibilità quello proposto dall’Ai e influenzerà in modo significativo la società e il quotidiano. Diverse le tendenze e le prospettive che ne plasmeranno lo sviluppo, ma certo che l’apprendimento automatico sarà il motore trainante delle evoluzioni future. Grazie anche alla crescente potenza di calcolo dei computer gli algoritmi di apprendimento automatico diventeranno sempre più sofisticati permettendo all’intelligenza artificiale di integrarsi in settori chiave quali la salute, l’industria, l’agricoltura e l’energia. Previsto che nell’industria e nell’agricoltura dia luogo a macchine in grado di sostituirsi completamente all’uomo. Questi disporrà però di sistemi di interazione con le macchine sempre più efficaci arrivando in un futuro anteriore a comunicazioni dirette tra il cervello e i dispositivi digitali. Tutto ciò impatterà ovviamente anche sul sociale in quanto ci saranno cambiamenti importanti nelle strutture del lavoro e nelle competenze richieste che imporranno formazioni e adattamenti ad hoc. L’automazione intelligente potrebbe portare a una riduzione di alcune occupazioni, ma potrebbe anche creare nuove opportunità lavorative e consentire una maggiore efficienza e produttività. Indubbio quindi che saranno sollevate questioni etiche complesse che richiederanno riflessioni approfonditi da parte di quanti interessati. Sarà necessario stabilire norme e linee guida per garantire che l’Ai sia utilizzata per il bene comune e per affrontare le s de sociali ed economiche in modo equo e sostenibile.
Molte le sfide aperte
L’Intelligenza artificiale ha tutte le potenzialità di modi care modalità e tempistiche dei cicli produttivi. Un’opportunità che è stata tema di un incontro organizzato durante Eima per esplorare le prospettive di sviluppo dell’Ai nell’ambito della meccanizzazione agricola. Fermo restando il fatto che la “vera” intelligenza artificiale basata su architetture di autoapprendimento evolute, in grado di simulare da vicino il funzionamento della mente umana, è ancora lontana nel tempo. Nel più immediato futuro saranno ancora i sistemi di agricoltura 4.0 a farla da padroni, con sempre più sofisticate soluzioni digitali orientate a raccogliere grandi quantità di dati in tempo reale per supportare gli utenti nell’assunzione di decisioni informate sulla gestione delle risorse e dei cicli operativi. La raccolta, integrazione e l’elaborazione di dati anticiperà quindi lo sviluppo dell’intelligenza artificiale evoluta, basata su sistemi di autoapprendimento e algoritmi capaci di elaborare informazioni e generare decisioni senza utilizzare modelli matematici o statistici predeterminati. Ma educare algoritmi in modo che possano apprendere da varie situazioni ambientali e rispondere adeguatamente, senza la supervisione umana, implica appunto l’utilizzo di enormi quantità di dati
che oggi, oltre a essere difficilmente immagazzinabili e processabili, sono spesso e volentieri divisi in sottosistemi che non dialogano tra loro. Il percorso per avvicinarsi a una “vera” intelligenza artificiale è quindi ancora molto lungo e complesso e i passi da compiere per poter ambire ad aprire una porta verso la nascita di tale tecnologia dipenderanno dalla capacità di dare prima vita ad architetture hardware dotate di maggiori performance computazionali.
Titolo: Intelligenza artificiale, non è tutto oro quel che luccica
Autore: Furio Oldani