Fiat “700”, sulla breccia per un quarto di secolo

“700 A” del 1928, derivato da “700” del 1926. E’ stato il primo trattore compatto e relativamente leggero proposto da Fiat

Nel 1918, alla fine della Grande Guerra, Fiat e presentò il suo primo trattore agricolo, “702”, entrato in produzione nel 1919 negli stabilimenti di Corso Dante della città sabauda. Fu l’ inizio di una avventura che portò l’Azienda a diventare per qualche tempo il primo produttore europeo e anche uno dei primi a livello mondiale. “702” era spinto da un motore a quattro cilindri a valvole laterali da sei mila 235 centimetri cubi, funzionante con petrolio ed erogava 30 cavalli a 900 giri. Robusto e affidabile oltre che di ragguardevoli dimensioni, pesava 28 quintali circa e venne prodotto per due anni in mille e cento esemplari, cifra ragguardevole ma lontana dalle migliaia di unità di Fordson “F”. Dal 1920 uscirono in sequenza “702 A”, “702 B”, “702 Bn”, “703 B” e “703 Bn”, tutte macchine che permisero a Fiat di imporsi sul mercato italiano ma scontrandosi oltralpe con i big mondiali, per lo più americani che disponevano di macchine più compatte, leggere ed economiche.

Nel ’25 l’avvio del progetto Fiat “700”

Per questo motivo, nel 1925, la Casa progettò un trattore di dimensioni e pesi più contenuti, il modello “700”, forte di 28 cavalli e 19 quintali di peso che venne assemblato a livello prototipale a Torino ma entrò poi in serie a Modena. Fiat voleva in effetti disporre di uno stabilimento espressamente dedicato ai trattori e proprio per tale motivo nel 1927 con il benestare dei Ministeri della Guerra e delle Finanze, acquistò un grosso stabilimento in quel di Modena, un opificio di Officine Reggiane costruito all’inizio del secolo per riparare e  assemblare materiali ferroviari.

Durante la Grande Guerra fu adibito alla costruzione di proiettili e materiale bellico poi rimase fermo e quindi disponibile per la cessione a Fiat che all’inizio del 1928 ridenominò il complesso “Oci”, “Officine Costruzioni Industriali” e iniziò a produrre “700” aggiungendo al nome il suffisso “A” per distinguere i mezzi fabbricati a Modena da quelli nel frattempo realizzati a Torino. Fu una scelta azzeccata in quanto i Modenesi accomunavano e accomunano ancora oggi attitudine e passione per la meccanica alla conoscenza delle problematiche agricole. “700 A” era equipaggiato con un quattro cilindri con valvole in testa da tre litri e mezzo di cilindrata erogante 30 cavalli al volano e 28 alla puleggia al regime nominale di mille 500 giri al minuto e rispetto ai suoi predecessori aveva un miglior rapporto peso potenza, pari a 63 chili per cavallo, era più agile, leggero e polivalente.

Due serbatoi per nafta e benzina

L’avviamento era a manovella con alimentazione a benzina, mentre il funzionamento a motore caldo era a nafta o a petrolio grazie a un polverizzatore che permetteva di passare da un combustibile all’altro senza problemi. Per questo era dotato di due serbatoi con due relativi bocchettoni di riempimento davanti al cruscotto. Quello di destra era per la nafta o il petrolio e conteneva 50 litri, mentre quello di sinistra era per la benzina e aveva una capacità di otto litri. Una volta avviato il motore a benzina con una serie di operazioni non proprio velocissime, si lasciava in moto per cinque o sei minuti per portare la temperatura dell’acqua di raffreddamento sui cento gradi poi si passava all’alimentazione a nafta.

Raffronto fra trattori Fiat e Fordson.  Al centro Fiat “700”, a sinistra Fiat “702” e a destra Fordson “F”

Non essendoci un termometro la temperatura dell’acqua era verificata controllando una uscita di vapore da un apposito foro sul bocchettone del radiatore e per agevolare il riscaldamento con climi freddi tramite una catenella azionabile dal posto guida si svolgeva o riavvolgeva una tendina sul radiatore. L’accensione era garantita da un magnete ad alta tensione azionato dallo stesso alberino della pompa dell’acqua e il magnete azionava le quattro candele montate con una incidenza di 45 gradi sulle camere di combustione. La lubrificazione si avvaleva di una pompa controllabile  tramite un manometro sul cruscotto, di fatto l’unico strumento installato. Nelle prime versioni, il livello dell’olio motore era inoltre visibile tramite un tubo verticale di vetro trasparente poi sostituito da una più convenzionale asta graduata.

Fiat “700”, consumi nella media di categoria

Il consumo orario dichiarato era di oltre sei chili di nafta, non bassissimo, ma adeguato ai cavalli erogati. La frizione era comandata da un pedale posto sulla destra del piantone del volante ed era ispezionabile e regolabile nell’azione tramite un coperchio posizionato sulla parte superiore della scatola della trasmissione. Questa faceva lavorare la meccanica in bagno d’olio di ricino, dal cambio, alla coppia conica ai riduttori finali. Il cambio offriva tre rapporti in avanti e una retro e in  presa diretta permetteva di marciare a 11 chilometri/ora. Chiaramente, le prime due marce erano da lavoro, mentre la terza era per i trasporti e i trasferimenti. Di fatto si creava un “buco” tra la seconda e la terza, tant’è che per chi non eseguiva continuativamente lavori pesanti, era disponibile un cambio con i primi due rapporti più veloci.

L’innesto delle marce era facile e senza impuntature, non faceva rimpiangere l’assenza dei sincronizzatori mentre i freni erano un grande punto debole essendo costituiti da una puleggia posta all’interno del cambio che veniva azionata da una leva a mano posta alla sinistra del posto guida. In sistema era bloccabile nella posizione voluta mediante un settore dentato e fungeva anche da freno di stazionamento ma la sua azione lasciava parecchio a desiderare. A differenza dello sterzo, agente su una coppia di ingranaggi elicoidali. Era parecchio demoltiplicato e quindi di facile e leggero azionamento e agiva su un assale oscillante che a sua volta supportava ruote monolitiche di acciaio dolce con quelle anteriori dotate di un cerchione a “L” che penetrando nel terreno facilitava il mantenimento della direzione.

Il modello denominato “B1” era una variante di “700 B” dotato di un  motore policarburante ideato dall’ ingegner Fortunato Boghetto. Venne costruito in soli 54 esemplari

I cerchioni posteriori erano invece muniti di palette oblique di aderenza, che si potevano togliere quando non necessarie, riducendo la larghezza di “700 A” da 160 a 138  centimetri. Da segnalare la barra di traino a “T” ancorata all’assale anteriore per dar luogo a una maggior stabilità anche nei lavori pesanti. La macchina era in definitiva molto moderna per l’epoca, ma pagò un periodo buio, contraddistinto da crisi, guerre, conflitti e distruzioni che finirono solamente quando lasciò il posto al modello “600”.

Fiat “700”, versioni “sciancata” e “stradale”

Per chi eseguiva con frequenza le arature entrosolco, esisteva una trasformazione di “700 A” composta che permette di allungare gli assali di destra di 30 centimetri per collocare il centro di gravità alla metà tra le due ruote e ottenere maggior trazione con minori slittamenti. Si poteva ordinare direttamente in fabbrica e veniva definito modello “sciancato”. Il posto guida era ben protetto dalle ruote posteriori, era spazioso, permetteva di raggiungere comodamente tutti comandi e proponeva un sedile sospeso su di una molla. Spartano il cruscotto. Proponeva a sinistra il pulsante di massa, al centro la catenella per regolare l’altezza della tendina del radiatore e a destra il manometro della pressione dell’olio motore. “700 A” era disponibile anche in versione stradale con ruote zavorrate e battistrada di gomma piena. L’allestimento comprendeva i fanali ad acetilene, i parafanghi per le ruote anteriori, un silenziatore specifico e un freno aggiuntivo sulle ruote posteriori. La versione sfiorava i 14 chilometri/ora e poteva trainare rimorchi da 38 tonnellate.

Da “700 A” a “700 D”

“700 B” del 1932 era riconoscibile per la linea del cofano/serbatoio più affusolata e per le ruote anteriori a sette raggi anziché sei

Fiat “700 A” è di diritto una della macchine che han fatto la storia del trattore e venne prodotto in mille e 943 esemplari. Nel 1931 venne però sostituito da “700 B”, disponibile nelle varianti “Bm” e “B1”, militari, “Bv”, veloce, “Bvv”, velocissima. Prodotto sino al 1942 in mille e 565 unità, differiva di poco dal predecessore. Era diversa la forma del cofano/serbatoio, le ruote anteriori erano a sette raggi ed erano disponibili tre diverse spaziature dei rapporti del cambio. Più pesante di “700 A” con il conseguente aumento dello capacità di trazione, nel 1942 “700 B” fu sostituito da “700 D”, identico a “B” ma con la cilindrata del motore salita a tre litri e 950 centimetri cubi grazie a un aumento dell’alesaggio da 90 a 95 millimetri.

“700 D”, del 1942, era praticamente identico al tipo B se non per la cubatura del motore, da quasi quattro litri e per qualche cavallo in più

Acquistò qualche cavallo in più e venne commercializzato fino al 1950, quando era già andato il produzione il suo successore, il modello “600”. Da precisare che il passaggio dal modello “B” al modello “D” era indotto dal fatto che il suffisso “C” in Fiat era riservato ai trattori cingolati. Anche “700” diede vita a una simile versione nel 1932 risultando uno dei primi cingolati costruiti in Italia, ma è un’altra storia e la si racconterà un’altra volta. In venticinque anni vennero prodotti complessivamente quattro mila e 561 “700” operanti su ruote, volume affatto disprazzabile considerato il periodo in questione, martoriato da guerre, distruzioni e crisi.

Titolo: Fiat “700”, sulla breccia per un quarto di secolo

Autore: Massimo Misley

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