Nel 1880, Giulio Gianetti, commerciante in profilati in ferro e acciaio e articoli da ferramenta, fondò a Saronno, in provincia di Varese ma vicino a Milano, la “Società Anonima Giulio Gianetti”, azienda che si prefiggeva di produrre cerchi e assali per carri e carrozze. Col tempo divenne uno dei più affermati costruttori dei cerchioni di ferro che all’epoca venivano applicati alle ruote in legno.
Proprio il successo della produzione nel 1913 spinse Gianetti ad aprire un nuovo insediamento a Ceriano Laghetto, località poco distante da Saronno, per ospitare i più diversi tipi lavorazioni necessari per produrre oltre ai cerchioni e agli assali in generale anche particolari metallici destinati a macchine per fornaci, macchine agricole ed edili e alle motociclette. La nuova fabbrica, di ragguardevoli dimensioni e servita da una ferrovia, ospitava una fonderia per la ghisa, l’acciaio e per altri metalli, disponeva di macchine per la forgiatura e la stampatura e poteva anche dar luogo a saldature elettriche e ad acetilene. Uno specifico reparto eseguiva inoltre la trafilatura del fil di ferro e dei suoi derivati, tutte attività che però alla fine del Primo Conflitto Mondiale e con la crescita esponenziale della domanda di macchine agricole finirono con l’essere affiancate dalla produzione di motocoltivatori a conduzione manuale, motocoltivatori semoventi, erpici, falciatrici e rastrelli voltafieno.
La “Ditta Giulio Gianetti di Giuseppe e Gaetano Gianetti” finì quindi con l’entrare nel settore della meccanizzazione agricola, tant’è che nel 1920 proponeva un’ampia gamma di attrezzature agricole che però, già nel giro di pochi anni dopo, vennero abbandonate a favore del l’attività principale basata sulla produzione di ruote, assali e loro accessori oltre che di componenti meccanici. Tali prodotti erano distribuiti a livello globale e fornivano clienti del calibro di Iveco, Daimler, Volvo, Harley Davidson e altri ancora.
Ciò nonostante la ditta restava però pur sempre un’azienda a conduzione famigliare che se la doveva vedere con una concorrenza sempre più spesso più strutturata di lei e proprio per questo motivo all’ inizio di questo secolo e dopo aver già abbandonato le produzioni agricole la proprietà decise di cedere la maggioranza delle azioni al gruppo Accuride Corporation, colosso mondiale nei componenti dei veicoli commerciali con Casa madre nell’Indiana e una decina di stabilimenti sparsi negli Stati Uniti.
La cosa permise all’azienda nel frattempo ridenominata “Giannetti Ruote” di crescere ma nell’Agosto del 2018 venne assorbita dalla teutonica Quantum Capital Partners tramite il suo fondo Quantum Opportunity Fund II che nel Maggio del 2019 acquisì anche il produttore di cerchi di acciaio “Gkn Wheels Carpenedolo”. Nacque così il gruppo “Gianetti Fad Whees”, con una capacità produttiva superiore ai due milioni di pezzi all’anno attraverso i due stabilimenti di Carpenedolo, vicino a Brescia, e di Ceriano Laghetto col secondo che però fu poi chiuso nel Luglio del 2021 dalla finanziaria tedesca a seguito della decisione di decentrare la produzione all’ estero.
Il rastrello “Ticino”
Una delle macchine agricole più semplici fra quelle proposte da Gianetti era il rastrello per fienagione “Ticino”, studiato per essere trainato da un cavallo e quindi leggero e robusto. Era supportato da due grandi ruote metalliche composte da un mozzo di ferro stampato portante una bussola di ghisa intercambiabile su cui si fissavano cerchioni di ferro a fascia curva mediante raggi saldati elettricamente. Molto solidi e in grado di non danneggiarsi in caso di eventuali urti con piante o muretti. Le ruote sostenevano una traversa di ferro angolare che ospitava alle estremità due dischi per i nottolini della pedaliera e i due perni delle ruote, smontabili per eventuali riparazioni o sostituzioni. Sulla traversa erano poi fissati i denti del rastrello, 24, 30 o 36 a seconda delle necessità del cliente, realizzati con acciaio tondo ed elastico di alta qualità. Il fissaggio avveniva con supporti di acciaio stampato per agevolare smontaggi e sostituzioni mentre un sedile traforato con molleggio a lamina ospitava il conducente che, tramite la pedaliera o una leva, alzava i denti del rastrello quando necessario.
La falciatrice “Adda”
Meccanicamente più complessa del rastrello “Ticino” era la falciatrice “Adda”, attrezzo che prendeva il moto dalle sue stesse ruote. Era concepita per operare a traino animale e presentava un lungo timone in legno dotato di due bilancini. L’operatore, ospitato da un sedile metallico traforato, poteva innestare o disinnestare tramite una leva la barra falciante laterale e nel caso i cavalli arretrassero un sistema di nottolini applicati ai mozzi delle ruote rendevano tali gruppi folli isolando di conseguenza la barra. Per trasferire il moto dalle ruote alla barra Gianetti sfruttò le sue competenze meccaniche e metallurgiche dando luogo a una scatola ermetica contenente ingranaggi di acciaio temperato con dentature fresate che lavoravano immersi nel grasso. La barra falciante era costituita da un traversone di acciaio laminato con denti di acciaio stampato e lame e controlame di acciaio temperato e affilato e tutti i componenti erano facilmente smontabili. L’innalzamento della barra avveniva in due distinte fasi la prima delle quali, fino a 20 centimetri di altezza, permetteva di eseguire tagli ad diverse altezze in quanto la barra restava parallela al terreno. Sopra i 20 centimetri la barra cominciava invece a ripiegarsi verticalmente e avveniva il disinnesto automatico del movimento grazie a un fermo di sicurezza.
L’ erpice “Tevere”
Altro attrezzo di semplice concezione ma molto robusto realizzato da Gianetti era l’erpice “Tevere”, trainabile sia dagli animali sia dai rari trattori in attività all’epoca. Ne venivano offerti diversi tipi, codificati con i numeri 1-2-3-4 o 5 che corrispondevano al numero delle sezioni che componevano l’erpice. La distanza dei denti poteva variare da 35, 40 o 50 millimetri a seconda del tipo di lavoro da svolgere e i telai erano costruiti da intelaiature di ferro profilato a “L” o a “U” le cui caratteristiche elastiche e di rigidezza cambiavano in funzione del lavoro cui l’erpice era destinato. I denti di acciaio stampato venivano fissati alle traverse con un sistema che ne impediva la rotazione, ma erano sempre smontabili e intercambiabili.
I motocoltivatori “ Tipo 5 e 8 HP”
Fiore all’occhiello della produzione “agricola” Gianetti furono i motocoltivatori, prodotti in diversi modelli e con conduzioni manuali o semoventi, cioè dotati di posto guida. I modelli a conduzione manuale erano due, “ Tipo 5 Hp” e “Tipo 8 Hp” per via della diversa potenza dei motori a due cilindri a “V” a benzina che li spingevano. Comune ai due propulsori il raffreddamento ad acqua con radiatore e l’accensione a manovella asservita da un magnete ad alta tensione e comune era anche la trasmissione a cinghia che collegava i propulsori a un cambio a due a marce. Un rinvio cardanico trasmetteva la potenza anche all’attrezzo posteriore, un coltivatore a fresa costituito da un albero cavo rotante dotato di molle sulle quali erano applicati i denti fresatori a forma di zappette. I denti erano ricambiabili e le molle potevano spostarsi lateralmente in caso di urti con oggetti resistenti come pietre o radici. La conduzione del mezzo avveniva in piedi grazie a un timone dotato di manubrio con due impugnature sul quale si trovavano tutte le leve di controllo del motocoltivatore. Era molto manovrabile e poteva girare su se stesso. La fresa aveva un larghezza di lavoro da 55 a 85 centimetri e la profondità di coltivazione, a seconda della velocità di avanzamento e della natura del terreno, variava dai 10 ai 25 centimetri.
I motocoltivatori “Tipo 20 e 30 HP”
Macchine top di gamma della produzione Gianetti erano dei “trattorini” a tre ruote spinti da propulsori a benzina a quattro cilindri eroganti 22 o 32 cavalli a mille giri. Erano raffreddati ad acqua con radiatore e pompa, l’ accensione era a manovella con magnete e un regolatore comandava l’immissione della benzina. La struttura del mezzo era a telaio portante sul quale erano collocati motore, trasmissione, posto guida e fresa posteriore e il cambio realizzava tre marce avanti e una retro. Il posto guida, piuttosto comodo, era contraddistinto da un piccolo volante quasi verticale che azionava la ruota direttrice centrale anteriore. Non essendo visibile dal conducente, un piccolo indicatore posto sul rinvio anteriore, indicava la sua posizione, dritta o sterzata. Poteva ruotare di quasi 90 gradi, conferendo al mezzo una ottima manovrabilità. La larghezza di lavoro del coltivatore corrispondeva a un metro e mezzo per una profondità di 25 centimetri e con piccole modifiche i mezzi potevano anche azionare una falciatrice o una mietitrice.
Titolo: Attrezzi agricoli e motocoltivatori Gianetti, quando l’agricoltura è storia
Autore: Massimo Misley