Nel fine settimana dell’8 e 9 Giugno si svolgeranno le elezioni europee, appuntamento cui si presenteranno circa di 359 milioni di cittadini la maggior parte dei quali sempre più consapevoli dell’importante ruolo che l’agricoltura nutre all’interno della Società. Solo in Italia, secondo una indagine condotta nel 2022, ben il 96 per cento della popolazione inquadra la tutela delle aree rurali quale obiettivo primario per il futuro, vedendo negli agricoltori la principale fonte di produzione di cibi di alta qualità da realizzarsi nel rispetto del benessere degli animali e dell’ambiente.
Lo stesso concetto dovrebbe essere fatto proprio dalla Politica agricola comune, in sigla “Pac”, il principale strumento dell’Unione per il sostegno al comparto agricolo nonché storico pilastro dell’integrazione tra gli Stati membri. Era infatti il 1957 quando si firmava il Trattato di Roma per l’istituzione di quella Comunità Economica Europea, in sigla “Cee”, aderendo alla quale i vari Paesi si impegnavano alla “instaurazione di una politica comune nel settore dell’agricoltura” come da articolo 3, comma “D” del Trattato. A distanza di settant’anni la Cee è diventata l’attuale Unione Europea e con una spesa di circa 55 miliardi e 700 milioni di euro all’anno la Pac rappresenta un terzo degli esborsi dell’Unione oltre che la sua principale voce di spesa. Molte le discussioni aperte su tali contributi verso i quali però la maggioranza degli Europei guarda con favore. Solo in Italia specifiche interviste hanno evidenziato come l’85 per cento circa della popolazione pensi che gli aiuti pubblici agli agricoltori siano giusti o addirittura troppo bassi, mentre un altro buon 76 per cento ritiene la Pac un investimento utile per l’intera Società e non solo per il settore agricolo.
Nonostante il volume di spesa e il contesto di grande attenzione da parte degli elettori, ben poco si è però sentito parlare di Pac durante la campagna elettorale europea, con i candidati italiani che se interrogati sul tema evitano accuratamente di parlare di politiche e scelte di base preferendo scagliarsi contro le “farine di insetti”, le “carni sintetiche” o gli “ogm”, tutti argomenti di importanza pressoché nulla per gli operatori, ben più preoccupati dalla volatilità dei prezzi delle materie prime e dei prodotti finiti, dalla mancanza di manodopera e dagli eventi climatici estremi.
La politica scollegata dalla realtà
I politici sono quindi completamente scollegati dalla realtà del settore agricolo, distanza che in Italia si è acuita a partire dall’ultimo Governo che invece di impegnarsi a capire e a far fronte alle vere necessità del comparto, magari informando delle stesse anche i cittadini, ha preferito portare avanti battaglie di bandiera tese solo a ottenere consensi. Un atteggiamento di comodo avanzato sapendo che demonizzare questo o quel prodotto alimentare scatenando paure inconsce nella popolazione attira più consensi che non lo spiegare come funziona la Pac e quale sia la visione europea per il sostegno all’agricoltura. E poco importa se le demonizzazioni di cui sopra sono basate sul nulla come per esempio accade per le carni coltivate.
Si tratta di cibi non ancora in commercio e che comunque l’Unione Europea non obbligherà mai nessuno ad acquistare, esattamente come nessuno impone di acquistare le farine a base di insetti se presenti nei supermarket. C’è da dire però che se la Pac non è un tema centrale nella discussione pubblica è anche colpa della stessa Unione Europea. Negli anni infatti sono state proprio le Istituzioni Comunitarie ad aver dimostrato di non saper gestire al meglio la Politica agricola comune mettendo a punto uno strumento che non desse luogo agli enormi scompensi di mercato innescatisi nei decenni scorsi e che ancor oggi, dopo numerose riforme, presenta criticità importanti.
La Pac è figlia di due riforme
La Pac nacque infatti per risollevare il settore, recuperare i fondi agricoli abbandonati incentivando le produzioni. I primi sussidi vennero erogati sulla base del principio del “sostegno ai prezzi” dei prodotti e la garanzia del loro acquisto illimitato da parte dell’Unione. Il che portò presto alla creazione di eccedenze di mercato, alla svalutazione delle merci e a un incontenibile aumento di spesa pubblica. Per questo, negli Anni 90, vi fu una prima riforma della Pac grazie alla quale venne introdotto il concetto di “sostegno al reddito” degli agricoltori che mise argine ai primi errori, ma sempre in un contesto di mancanza di regole severe e di carenza di molte delle tecnologie attuali.
Gli agricoltori rimanevano quindi spinti a produrre molto, utilizzando spesso troppi fitofarmaci e concimi di sintesi contribuendo così a dare al comparto quell’immagine di un settore inquinante che ancor oggi l’agricoltura si porta addosso. La modifica che portò alla Pac di oggi, si ebbe con Agenda 2000, che introdusse il concetto di “ecocondizionalità” secondo il quale solo gli agricoltori che rispettino determinati criteri di tutela ambientale possono accedere agli aiuti pubblici.
Il principio di per sé non era e non è sbagliato in quanto se gli agricoltori ricevono soldi pubblici è giusto che si impegnino verso la Società, ma tale principio fu poi distorto a partire dai primi anni del nuovo millennio da ansie ambientalistiche che imposero sempre più vincoli agli agricoltori. Ancora una volta accadde che l’Europa emanasse una Legge valida nei fini e ben finanziata, ma i cui risultati sono ancora oggi perfettibili. Il perché questo sia accaduto non è facilmente comprensibile, ma è certo che il meccanismo con cui si stabiliscono i finanziamenti europei, basato su una contrattazione tra 27 Stati membri che abbraccia più politiche contemporaneamente, non facilita la stesura di questi documenti.
Visione distorte del settore
Vero è comunque che a leggere gli indirizzi generali della Pac emerge come i decisori politici abbiano una visione distorta del settore agricolo e sfruttino i fini principali della Politica agricola comunitaria, il sostegno del lavoro in agricoltura e il miglioramento della produttività delle nostre aziende, per sviluppare politiche di sostenibilità ambientale e di mantenimento delle piccole aziende agricole fini a se stesse e in contrasto con le concrete esigenze di un comparto vocato all’innovazione e alla competitività. Chi doveva decidere lo ha fatto su basi ideologiche e senza avere il senso della realtà, recuperando immagini di vita rurale oggi non più attuali, senza riflettere sul fatto che per garantire prodotti di qualità in quantità sufficiente per sfamare il Mondo, il settore agricolo ha bisogno di investimenti in tecnologie meccaniche, chimiche e biotecnologiche all’avanguardia, di macchinari capace di svolgere i lavori più pesanti, di molecole in grado di eradicare le muffe dei cereali con bassissimi dosaggi e di varietà di riso capaci di crescere in condizione di siccità estrema. Solo per fare degli esempi. Peccato che al momento non esistano politici o associazioni sindacali in grado di mettere a fuoco tali esigenze, realtà peraltro confermata dalle recenti proteste degli agricoltori.
Titolo: Agricoltura, dopo le elezioni europee c’è tanto da ricostruire
Autore: Eugenio Demartino